8.2.08

Socialità

Come si cambia per non morire, come si cambia per amore, come si cambia per non soffrire, come per ricominciare...

Così canticchiava la Mannoia in un Sanremo di tanti anni fa.
Ma come si cambia?

Per non morire di inedia, forse si può cambiare settore, passare insomma da un precariato all’altro, come me.
Sì, la vostra eroina ha momentaneamente abbandonato il precariato televisivo per trasferirsi nel precariato sociale. Sono passata dal dichiaratamente inutile al fintamente utile. Wow.
In ogni caso non temete, sono più precaria e scorticata che mai.
La differenza è che adesso mi intrattengo scrivendo corbellerie nel pomposo linguaggio della comunicazione “seria”, quello dove non si dice trovare un lavoro a qualcuno – non sia mai! Si dice: promuovere l’inserimento lavorativo. Chiaro?

Ah, se siete disoccupati di media o lunga durata sappiate che avete tutto il diritto di definirvi afflitti da “svantaggio sociale” e che siete in attesa di reinserimento. Se poi dite anche “inclusione sociale” fate un figurone, qualunque cosa significhi.

Ma se c’è chi ha lo svantaggio sociale, il vantaggio a chi va?
Perfetto, se vi occupate di questi settori imparate la regola numero 1: non domandare mai chi ci guadagna, lì fanno tutti finta di fare del gran volontariato e lavori di pubblica utilità. Guai a insinuare che il re è nudo (e pieno di soldi).
La seconda regola la imparerete presto: se chi trae profitto dal sociale non è dato saperlo, non tarderete ad accorgervi che voi ci guadagnate davvero poco. E che le condizioni lavorative del vostro “inserimento” non hanno nulla da invidiare allo sfruttamento terzomondista. Immagino sia una tecnica ad hoc per farvi provare sulla vostra pellaccia di borghesi viziati come lavorano gli svantaggiati sociali veri, mica come voi precari pieni di pretese e poco disposti a sacrificarvi per la Causa. Il no profit comincia da voi, non state lì a pensare ai profitti, avidi capitalisti che non siete altro!

Ora scusate ma devo andare: ho una politica di inclusione sociale da perseguire, la mia.
Devo lavorare al reinserimento delle risorse lipidiche perdute dopo tante ore di edificante lavoro.
Come? Per esempio così.

SPAGHETTI ROSSI SOCIALI
Spaghetti
Pomodori secchi
Olive nere
Pecorino romano
Parmigiano
Filetti di acciughe
Aglio
Olio
Origano
Peperoncino
Prezzemolo tritato

L’uso dei pomodori secchi rende questo piatto fintamente popolare, le acciughe fanno tanto engagé, il peperoncino si addice a chi sa sopportare le emozioni intense e l’origano non manca mai sulle tavole radical-chic di chi col sociale ci lavora, e ci mangia.
L’olio compratelo alle Botteghe del Commercio Equo e Solidale perché voi sognate un commercio giusto, ma per il sale usate quello dell’Atlantico francese, perché impegnati sì, ma raffinati pure.
Altrimenti fregatevene di tutte le precedenti indicazioni, invitate a cena il vostro capo del Sociale Reale e sfoggiate con nonchalance quanti più prodotti di bieche multinazionali possibile. Per il condimento ovviamente usate il pesto rosso Barilla. Sai che colpo di scena!

Comunque il pesto in questione lo si ottiene semplicemente frullando tutti gli ingredienti (tranne le olive e il prezzemolo) nelle quantità che preferite, ma io non esagererei con le acciughe, e miscelando con un po’ di acqua di cottura della pasta. Una volta scolati gli spaghetti, si unisce la salsa, le olive nere tagliate a metà e si ricopre di prezzemolo fresco tritato.
Potere accompagnare la degustazione del companatico con queste -profetiche- parole cantate:
Non insegnate ai bambini, non divulgate illusioni sociali, non gli riempite il futuro di vecchi ideali, l'unica cosa sicura è tenerli lontani dalla nostra cultura.

Playlist avvantaggiata
Fiorella Mannoia - Come si cambia
Giorgio Gaber - Non insegnate ai bambini

1 commento:

  1. comunque il 18 febbraio non è ancora arrivato... quindi sù il morale (e tieni pronta una mancia molto generosa...)

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