23.5.10

MaSoprattuttoNavigatori













La visió del Mediterrani constitueix per mi una necessitat.
(Antoni Gaudi)



Il tuo vicino di casa è sparito? Il tuo bar di fiducia ha chiuso all'improvviso? Il tuo commercialista non risponde più al telefono?
Non chiamare "Chi l'ha visto?", sono qui con me. Se vuoi te li saluto.
Santi, poeti e navigatori, ma soprattutto navigatori. Il popolo italiano ha invaso la Catalogna. Un arrembaggio. Il sacco di Barcellona. Ci manca solo un tricolore a sventolare sul tetto del palazzo comunale e un monumento a Marcello Lippi in Plaza España e per il resto la città è nostra.
Roba che poi leggi su Repubblica le lamentele dei leghisti su “gli immigrati che vengono in Italia a rubarci il lavoro” e ti viene da ridere. Abbiamo intasato le strade di Barcellona di precari, artisti improvvisati, quarantenni in fuga, ricercatori che cercano una borsa di studio, discotecari in cerca di movida, archittetti in cerca di Gaudì, musicisti in cerca di band, creativi in cerca di idee e anime perse in cerca di sé stesse. Non manca più nessuno, solo non si vedono i due liocorni.
Questa invasione racconta, tristemente, di noi, della nostra crisi, di un popolo smarrito che si cerca altrove. Perché in Italia ormai trovi poco. E molti degli italiani che sono qui non sono venuti ad ammirare la Sagrada Familia o a mangiarsi una paella sulla spiaggia. Sono fuggiti dal disastro. Ma tant'è, ora siamo qui. Praticamente tutti. E in fondo, l'approdo dopo il disastro non è niente male (e la paella è buona).

E io che temevo di sentire la mancanza dei miei connazionali. Il giorno della partenza ho declamato sconsolata il mio addio ai monti, moderna Lucia dei Promessi Precari, e come il Foscolo di RyanAir ho mormorato Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Roma mia. Ho pianto le lacrime amare di chi si accomiata dalla terra natale, con già in tasca la nostalgia della mia lingua materna, dei sapori di casa e della vita italica. 
"Lucaaaaa, dove sei? Non ti sento, non c'è campo", queste le prime parole udite appena sbarcata all'aeroporto. Sono qui da due mesi, e ancora non sono riuscita a fare un qualunque tragitto dal punto A al punto B della città senza sentire parlare in italiano, o spagnolo con accento italiano. Ragazzi non scherzo, siamo la comunità di stranieri più numerosa di Barcellona. E nessuno sembra intenzionato ad andarsene. 

Il catalano, la lingua di qui, la lingua di questi poveracci assediati da un'invasione di italiani, ancora non lo sto studiando (datemi tempo). Lavoro in italiano e lo spagnolo lo parlo poco, spesso con altri stranieri come me. In compenso credo che in un paio di mesi parlerò con scioltezza bresciano, salentino e torinese. Ciarea Madamin.
Va be', mi rassegno ad essere l'italiana numero 23.546, o qualcosa del genere. Il che però mi che sottrae parecchio fascino esotico. Mi leva il gusto della diversità. La solita italiana. Ah, eccone un'altra. Potrei spacciarmi per finlandese e vedere come va. "Di dove sei? Di Helsinki. Ma Helsinki Helsinki o qualche paese vicino?" Sì, mi pare che funzioni. 

Per il resto, sono qui da due mesi, ma questo l'ho già detto. E non so se mi sembrano pochi o se mi sembra che sto qui da una vita. Non capisco niente, tutto mi vortica intorno (non solo gli italiani) e gira gira gira. Avrei voluto scrivere tante volte, raccontare. Dire di me, dire di Barcellona, dire degli italiani a Barcellona, dire dell'italiana numero 23.546 appena sbarcata in città. Ma per scrivere devi capire e io sono intenta a smaltire troppe emozioni per capire come sto. Cioè: sto bene, questo sicuro. Però non puoi cambiare vita da un giorno all'altro e pensare di farla franca. È comunque uno shock. Bello, ma uno shock. Non puoi cambiare contemporaneamente casa, città, nazione e lavoro senza avere almeno una crisi d'identità o una crisi di panico o una crisi di fame. O tutto insieme. È bello ma è comunque una crisi, nel senso etimologico di questa parola a noi italiani tanto cara: cambiamento, punto di rottura. Non puoi arrivare fischiettando al Cambiamento. Al Cambiamento ci arrivi inciampando, coperto di graffi e lividi, stordito e confuso. Poi ti guardi intorno e vedi che va bene, che sei ancora vivo. Respiri e vedi che tutto è ok. 
Ma non puoi sottovalutare il Cambiamento, lui non sottovaluta te.  Alcune mattine mi sveglio e non so dove sto, davvero. Certi giorni mi sento una turista e cammino con l'aria ebete di chi si è perso in una città bellissima. Altre volte vado al lavoro in metro e mi sembra di esserci andata sempre, con quella metro, a quel lavoro. Certi momenti mi sento persa, altri integrata in una pace superiore, un nirvana da dove guardare il mare e sentirti bene. Altri giorni mi mancano i miei amici, da morire. La mia casa. Le mie parole. Il mio mondo. Mi manca tutto. Penso che non ce la faccio, che non sono forte abbastanza, che tutte queste emozioni, tutte insieme, io non le reggo. Ma alla fine penso ma chissenefrega io sto a Barcellona e guardo il mare e mi sento bene e prendo la metro e vado al lavoro e mi perdo con aria ebete in una città bellissima e tutto ha un senso, che non sempre so qual è, ma mi piace. 

Ora scusate, vado a studiare il finlandese.



PANINO APOCALITTICO
Prosciutto
Pomodoro
Olio d'oliva
Pane tipo baguette

Gli italiani a Barcellona, fondamentalmente, sono di due tipi: apolicattici o integrati. Gli apocalittici stanno qui, non pensano di tornare in Italia ma in compenso passano il tempo a lamentarsi: il pane spagnolo non mi piace, l'olio spagnolo non mi piace, il pomodoro spagnolo non mi piace, il prosciutto spagnolo non mi piace. Li vedi aggirarsi con aria schifata per i supermercati, costretti a cibarsi di queste porcherie. Hanno lo sguardo sognante quando parlano dell'olio di casa loro, ridono come bambini ricordando i tempi felici nella pizzeria sotto casa e possono discutere per ore della differenza tra De Cecco e Barilla. Della cucina di qui non salvano nulla. Muoia Sansone e tutti filistei, loro qui, dicono, sono ostaggi di una tortilla de patatas incarognita. Vivono a Barcellona da anni ma parlano, sdegnati, uno spagnolo elementare, praticamente un italiano con la s alla fine. Barcollano a volte gli apocalittici, ma non mollano. Assediati da alimenti di scarsa qualità rimangono qui. Malmostosi e inappetenti, ma qui.
Anche gli integrati stanno qui, non pensano di tornare in Italia e per loro tutto a Barcellona è meraviglioso, compreso il cibo. Gli integrati sono fuggiti inorriditi dal suolo natio, l'Italia è un paese allo sbando, provinciale e senza futuro e gli italiani una massa di tonti che parlano solo di cibo. Loro indietro non tornerebbero mai, e hasta la tortilla siempre, anche quando è strafritta. Gli integrati non parlano spagnolo, parlano solo catalano, perché quella è la vera differenza tra essere un turista e vivere qui. Gli integrati snobbano gli altri italiani, tranne gli altri italiani integrati, con cui parlano in catalano (i catalani, quelli veri, snobbano apocalittici e integrati in massa; è il loro modo di difendersi dall'invasione). Balbettano a volte gli integrati - mica facile il catalano - ma non mollano. Sgrammaticati e incompresi, ma qui.
E poi ci sono quelli come me, che tutto gli vortica intorno e che non sanno che pensare e sono confusi e felici e persi e nirvanici e allegri e soli e troppi ma sempre guardano il mare. E, sopratutto, adorano il prosciutto spagnolo, che il cielo lo protegga. E i catalani, i nostri padroni di casa, che il cielo li aiuti, al prosciutto ci aggiungono il pomodoro, spappolato sul pane insieme all'olio. Che è una cosa geniale, pomodoro e prosciutto insieme sono un prodigio, credetemi. E gli italiani, quelli apocalittici, quelli integrati e quelli 23.546, brontolano, balbettano e vorticano ma a pane, prosciutto e pomodoro non dicono mai di no.
E siamo tutti qui.


Playlist italiana 23.546
Mannarino - Svegiatevi italiani
Giulia y los tellarini - Barcelona
Carmen Consoli - Confusa e felice