29.12.07

UnaBlogger

Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico. Sono vasto: contengo moltitudini.
(Walt Whitman)




I blog hanno compiuto 10 anni.
Arrivo in ritardo sui trend annuali, figuriamoci sulle breaking news.
Riporto quindi solo ora
qui un articolo del corriere del 17 dicembre sull’argomento (se ho capito come si fa e mi riesce dopo dovreste solo cliccare sul “qui”. Tutto chiaro nonna?).
Nell’articolo trovate spiegata l’origine del fenomeno bloggoso, il colpevole ritardo dei blogger dell’ultima ora (come me) e soprattutto il riassunto del decalogo del bravo blogger scritto da Jorn Barger, che poi sarebbe nientemeno che l’inventore dei blog.
(Nonna se te la senti di leggere il decalogo originale in inglese clicca
qui).

Inutile dire che non rispetto nessun punto del decalogo.
Non sapevo che esistessero leggi sui blog, o modalità politicamente corrette di gestirli.
Ma si sa: ignorantia legis non excusat.
Sconterò la pena, quantificabile in senso di inadeguatezza per mesi 4, complessi di inferiorità per mesi 8 e un anno di paranoie da blogger inutile.
Per completezza informativa riporto qui gli atti dell’interrogatorio a cui ha fatto seguito la sentenza contraria del tribunale internazionale della blogosfera.

Ispettore lei ha ragione, avrei dovuto dirlo prima.
Ho deciso di aprire un blog perché… non so perché. Lo giuro.
In un’incandescente mattina di un fine agosto come tanti, no ispettore non ricordo che giorno era, ho guardato lo schermo del pc, e lui ha guardato me. No, non ricordo esattamente cosa ci siamo detti. Ricordo solo che mi sorrideva invitante. Ricordo solo che ho pensato: “e che sarà mai quest’era del web 2.0? Forse devo aprirmi un blog” e lo schermo ha continuato a sorridermi.
No ispettore, non sapevo cosa volevo fare esattamente. Si, lei ha ragione: ho dichiarato nel mio primo post che era da un po’ che pensavo di aprire un blog.
Ma sa ispettore non è detto che poi uno faccia davvero tutte le cose a cui pensa. Per la maggior parte delle cose che decido di fare in genere proclamo con piglio rossellao’haristico: “da domani”, e poi non lo faccio.
Invece il blog alla fine l’ho aperto davvero, ma giuro ispettore che è stato un caso.
Si è vero, prima di fare le cose bisognerebbe documentarsi, e si è vero: non avevo le idee chiare sull’universo blog. Conoscevo vagamente alcuni bloggers, solo i più famosi.
No ispettore, io non ho nessun messaggio da dare all’umanità, non informo nessuno, linko poco, lo stretto indispensabile, e non youtubo mai niente.

Penso che chi è interessato le cose poi se le va a cercare e penso che in fondo sono una noia quei blog saturi di suoni, foto, video e altri prodigi moderni che ogni volta che li apri il pc ti si rallenta fino quasi a soffocare e penso che in fondo manco quelli hanno un granché da comunicare, fanno solo bricolage multimediale.
Sì ispettore, mi sono accorta anche io che la rete pullula di blog sul precariato molto più impegnati dei miei. Ma ispettore io ricordo di non aver mai dichiarato di voler scrivere seriamente sul tema, e credo di non averci nemmeno mai provato.
Ah già le ricette. Si lo so, incomplete e approssimative, lei ha ragione. Troppo possibiliste. Poco dettagliate. Neanche una foto che illustri il procedimento, è vero. Sì, in effetti il mio non può assolutamente definirsi un blog culinario, né io una cuoca. Niente da obiettare.
Ah, sì ispettore, lei ha ragione, ora ricordo anch’io, ho dichiarato in data 30 agosto che “questo dilagare di bloggers senza freni mi causa una certa allergia al diciamoci tutto tanto nessuno sa chi sono”.
No ispettore, non ho cambiato idea.
O forse si.

RISO AMARO
Riso
Acqua
Sale
Olio

Il riso in bianco è il miglior rimedio in caso di condanne.
Utile per la nausea da doposbronza, per il voltastomaco da senso di colpa e più in generale per espiare i peccati, quelli digitali 2.0 ma anche quelli analogici, duri a morire mi pare, con buona pace del mondo virtuale.
Non va abbellito in nessun modo, quindi niente risotti, pilaf o sformatini di riso.
Deve essere nell’aspetto e nel sapore il più ospedaliero possibile.
Siete qui per punirvi.
Mi votu e mi rivotu suspirannu, passu li notti 'nteri senza sonnu. Voltatevi e rivoltatevi nel vostro senso di colpa, peccatori ansiosi.
E chi è senza ansia scagli il primo prozac…

Playlist colpevole

Daniele Sepe – Mi votu e mi rivotu

24.12.07

QuattroPrecariAlBar

"Il Natale, bambini, non è una data. E' uno stato d'animo."
(Mary Ellen Chase)
Eravamo quattro amici al bar, destinati a qualche cosa in più, che a una donna ed un impiego in banca.
Non è vero.
Magari non in banca, ma un impiego non precario sarebbe bellissimo, altro che anarchia e libertà.
Per non parlare di una donna o un uomo non psicopatici e/o insopportabilmente egocentrici: ci andrebbero benissimo, a trovarli.
Nessuno si è sposato, né è andato con la donna al mare (difficile di questa stagione) e non abbiamo deciso di cambiare questo mondo che non va.
Oggi eravamo due amici al bar, poi tre, poi quattro, poi cinque.
Forse le cose sono proprio cambiate dalla canzone.
O forse no.
Eravamo degli amici al bar che aspettavano che arrivasse la sera, ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso.
(Oggi sono pop. È il 24, mi sarà concesso.)
Eravamo degli amici al bar, che ridevano su come cambia il mondo.

Ridete anche voi:
A. T. "Ho capito che io devo conquistare le donne per un senso di vuoto, non di pieno. È una specie di obbligo. Ieri stavo rimorchiando una ragazza di cui non riuscivo a vedere neanche il volto. Non ho neppure capito se mi piaceva, sentivo solo che ci provavo perché non avevo niente di meglio da fare"
C. L. "Se andassi sulla luna porterei con me la quiete dopo la tempesta, una quiete piena di zenzero"
A. F. "La nostra è la uncle generation: vogliamo essere zii, non genitori. Ci piacciono i bambini, quegli degli altri"
L. C. "Ma possibile che non si riescano ancora a prevenire i terremoti? No? Vabbè, volevo dare una speranza per il 2008, ma non ci sono riuscita"
D. B. "Ti regalo un burro di cacao alla carota perché non puoi mangiare verdure"

Siamo precari in tutto, mica solo nel lavoro.
Quelli che: ho un amico che si è aperto un blog e rimorchia come un matto. Ora ha due donne ufficiali più varie donne satellite.
Quelli che: vediamoci anche a Natale, io il 25 non so che fare.
Quelli che: sarebbe bello se nevicasse a Roma, invece non nevica mai. È dall’85 che aspettiamo la neve.
Quelli che: io ho due blog e lo spazio su myspace. Ma poi non mi va di scriverci.
Quelli che: domani cambio tutto.
Quelli che: domani scrivo un libro.
Quelli che: domani non cambierà niente.
“Quelli, quelli di Roma.
Quelli che non c'erano.
Quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli, non hanno ancora finito e non sanno che cavolo fanno, oh yes!
Quelli lì…”

E il senso qual è? Non c’è alcun senso, solo zenzero e risate.
Stasera mi aspetta la cena in famiglia, il torcicollo è quasi passato e dopo tanto borbottare su come mi deprime il Natale alla fine sono contenta. Oh yes!
Posso ascoltarmi le canzoni natalizie che mi piacciono tanto (le mie preferite le trovate qui sotto), scartare regali e soprattutto pensare che in fondo non va poi così male. Oh yes!

Precariamente buon natale,
mangiate tanto!
Cuocaprecaria


Playlist natalizia e sdolcinata
Gino Paoli - Quattro amici
Vasco Rossi - Vita spericolata
Enzo Jannacci - Quelli che
Coldplay - Have yourself a merry little christmas
John Lennon - Happy Christmas (War is Over)
Britney Spears - Santa Baby
Elvis Presley - It's christmas time pretty baby
Mariah Carey - All I want for christmas is you
Frank Sinatra - Jingle bells
Martina McBride - Silent night

22.12.07

LaCapaGira 

L'avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge
(Gustave Flaubert)



Ho il torcicollo.
Mentre mi cospargo i muscoli cervicali di unguenti miracolosi solo nel nome, chissà perché mi torna alla memoria un’espressione latina.
Da Wikipedia:
Obtorto collo (letteralmente con il collo storto) è una locuzione latina in uso nel linguaggio comune per indicare l'accettazione, contro la propria volontà, di imposizioni esterne. Si può tradurre con malvolentieri o perché costretto.

Perché ti sei storto, stanco collo mio? Per non accettare un’imposizione? E quale? E cosa vorresti fare invece?
O forse è la mia testa che si gira e vorrebbe guardare altrove?
E se fosse invece il mio corpo a volermi suggerire nuovi orizzonti ortopedici (e non) mentre il mio sguardo rimane fisso nella stessa direzione?
Il mio organismo mi parla, ma non riesco a capirlo…
Oppure magari non parla, e sono io a voler rendere a tutti costi emblematico un banale colpo di freddo o colpo di testa o colpo di sonno.
Un colpo improvviso o un senso di colpa?
Dovrei fare più spesso quello che vorrei, e ricordarmi di farlo, e ricordarmi quanto è importante capire cosa voglio davvero.

Intanto la memoria continua a vagare e strane associazioni sorvolano le zone doloranti della nuca.
Poco sopra l’aulin appena ingerito, un neurone romantico mi canticchia una bella canzone che dice così: A glass of water longing for the ocean, I am an asphalt flower breaking free but you keep stopping me, release me. Sono un bicchiere d’acqua che vuole tornare nell’oceano, un fiore d’asfalto che riesce a liberarsi ma tu continui a fermarmi. Liberami.
E allora sarà questo il messaggio in codice dello storto collo mio: fammi guardare cosa c’è oltre la linea dell’orizzonte, non fermare il mio sguardo.
Non fermarti.
Liberati.
Intanto si avvicina la fine dell’anno. È tempo di bilanci.
Questa volta niente resoconti esistenziali. Troppo impegnativi per le cervicali stanche.
Bilancio di competenze, questo è il lavoro da fare amici precari. Riprendete il vostro inseparabile curriculum vitae.
C’è scritto tutto quello che sapete fare? Tutto quello che potreste ancora creare di nuovo? C’è solo il vostro passato dentro o si riesce a intravedere anche il vostro futuro? Uno possibile, uno diverso?
Fatevi aiutare da un orientatore professionale, c’è gente che lo fa di mestiere.
Lasciatevi orientate, non fermatevi.
Tornate nell’oceano.
Cantate gli Who: I’m free. And freedom tastes of reality.
Brindate al vostro bilancio con un buon bicchiere di vino.
C’è ancora un nuovo avvenire dietro l’angolo.

Scrivere un curriculum
Cos'è necessario?
E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si è vissuto
Il curriculum dovrebbe essere breve.
E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi.
E ricordi incerti in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza un perché.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
E ti evitassi.
Sorvola su, cani gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
E il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa,
che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio scoperto.
E' la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che triturano la carta.
(Wislawa Szymborska)

VINO DEI BILANCI
Vino (meglio se rosso)
Curriculum vitae
Sogni e desideri

Miscelare con cura. Bere a piccole dosi.

Playlist antinfiammatoria
Laura Sweden – Release me
The Who – I’m free

19.12.07

FrullaFrulla 



È tempo di trasformazioni.
Ho un pc (quasi)nuovo, un usato garantito generosamente donatomi da alcuni miei anonimi sostenitori.
A proposito: grazie, miei magnanimi soci, un giorno sarete ricompensati.
A proposito 2: non sognatevi neanche di intraprendere una carriera da precaria se non avete alle spalle un solida rete di amici a supportarvi e sopportarvi durante i mesi bui.
Quando le cose vanno bene siate simpatici e amichevoli (e ovviamente sinceri) con il maggior numero di persone possibili. Offrite da bere ed elargite sorrisi senza risparmiarvi. Quando le cose vanno male avrete bisogno di loro, e se siete stati dei rompipalle nel tempo felice nessuno vi reggerà durante la miseria.
Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.


Eppur si muove. Mi sfarfalleggia lo schermo. Il neo computer evidenzia strani malesseri e le applicazioni si aprono e si chiudono come mosse da uno spirito malvagio. In pratica fa come gli pare. Sarà un virus, un colera informatico che devasta i circuiti elettronici del mio supporto multimediale preferito.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Anzi, il tuo click.
Nessuna certezza, tutto ciò che siamo on-line può sparire al primo soffio di cortocircuito. Niente è più effimero della modernità.

Io di malumore? Ma no, figuriamoci.
Ha dda passà ‘a nuttata. Ormai aspetto solo la fine dell’annus horribilis, questo 2007 che doveva essere l’anno dell’ariete, il mio anno dannazione… Avrò l’ascendente sbagliato, suppongo.
Ma manca poco e intrepida resisto.
Resisto anche all’avvicinarsi del Natale. Che mi regala ogni anno porzioni sostanziose di insoddisfazione. Come a tutti credo.
Che volete, ricette? Non penserete mica di mangiare in questi giorni?
Resistete fino al 24, vi aspetta un tour de force lipidico capace di stroncare anche i fegati più sani e sportivi. E non è il mio caso.
Non so voi, ma io faccio quaresima fuori stagione. Verdure e impostazione soft, o almeno ci provo.

Se proprio insistete posso suggerirvi una crema vegetale. Usate qualunque verdura rintracciate nel vostro frigo che abbia meno di 2 mesi e frullatela senza pietà con il vostro inseparabile Minipimer.
Io senza Minipimer non potrei sopravvivere a una qualunque giornata storta, figuriamoci all’annus horribilis.
Senza di te non vedo che un deserto tra il passato e il presente.
Senza il Minipimer, of course.
Il mirabolante elettrodomestico è il miglior alleato contro la furia iconoclasta di noi cuocheprecarie. Qualcosa non va? Frulla amica, e tutto passa.
Passato di verdure: prendi una verdura qualunque, la ricopri di valori simbolici negativi e poi frulli via. Cosi passa. Altrimenti perché si chiamerebbe passato?
E allora nessun periodo è migliore di questo per frullare le cose vecchie, e andare vellutati e nuovi incontro al 2008.
Lontani andremo e serberemo un’eco
della tua voce, come si ricorda
del sole l’erba grigia
nelle corti scurite, tra le case.

Per il momento frulliamo una roba a caso. Vediamo un po’… Zucca? Ma sì, è gialla, piena di vitamina A e ricorda zucche vuote, poco sale in zucca, zucconi e tutto il kit di inutilità di cui vogliamo sbarazzarci prima della fine dell’anno.
Ovviamente potremmo cucinarla con badilate di burro e montagne di panna o formaggio. Otterremmo forse una veloutée di zucca, più gustosa, accattivante senza dubbio.
Ma siamo in quaresima esistenziale, zitta e frulla. Con pochi grassi, mi raccomando.

PASSATO DI PASSATO
200 gr di zucca
1 cipolla piccola
sale
pepe
noce moscata
poco burro

Le dosi sono per due, più o meno. Perché va bene la quaresima, ma almeno un amico/a con cui condividere il frugale pasto vi è rimasto, no?
Non c’è molto da aggiungere. La zucca va pulita e privata di semi e filamenti vari. Volendo, in un eccesso di zelo macrobiotico, i semi si potrebbero anche mangiare: vanno lavati e poi fatti dorare al forno con un po’ di sale. Fanno benissimo alla salute, dicono, e sono buoni nelle insalate. Io comunque mi dimentico quasi sempre di salvare i semi. Poi mi pento della smemorataggine e corro a comprare le confezioni di semi di zucca nelle boutique del biologico, pagandoli come 4500kg di zucca fresca. Fate un po’ voi.
Per il passato a questo punto basta mettere in una casseruola un po’ d’acqua, diciamo mezzo litro, con la cipolla tritata e la zucca fatta a pezzi, insieme all’immancabile pughetto di sale. Quando la zucca è morbida vuol dire che è cotta, è cotta di voi. Pronta a farsi frullare e ricomporre. A quel punto si approfitta del suo cedimento, si inforca il Minipimer e la zucca diventa un passato arancione, da arricchire con una noce di burro (o anche meno, se avete preso sul serio la storia della quaresima), pepe e una spolverata di noce moscata.

Ora il vostro passato è arancione. Chi potrebbe rimpiangere un passato di questo colore?!?
Cuore,
diventa color d’arancio.
Cuore,
diventa color d'amore!


Reading list
Dante Alighieri – Divina Commedia (inferno, V canto)
Cesare Pavese – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Eduardo de Filippo – Napoli milionaria
Paul Eluard – T’Amo
Eugenio Montale – Mediterraneo
Federico Garcia Lorca – Canzoncina del primo desiderio

14.12.07

AllonsEnfants




"Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.”
(George Orwell – La fattoria degli animali)

13 dicembre 2007: la foto qui sopra è la riproduzione digitale di quanto visto ieri dalla sottoscritta nel reparto ortofrutta del supermercato vicino casa.
Ho visto cose che voi umani non potete... La gente al banco del pane domandava angosciata quando sarebbero ritornati i filoncini integrali; frutta e verdura, lo vedete da soli, spariti; i prodotti a lunga conservazione riportavano chiari i segni del saccheggio dei giorni precedenti... ovunque distruzione e sfacelo.
Roma dopo la guerra dei camionisti, questo è quello che ho visto ieri.
Devo ammetterlo: un po' è stato divertente passeggiare tra strade deserte, file isteriche ai distributori di benzina che avevano ricominciato a distribuire il nostro oro più prezioso, alimentari semi vuoti e clima da neorealismo. Quando manca il pane (e la benza) basta poco per tornare indietro di 60 anni... ho letto sul giornale che a Napoli nei giorni scorsi avevano iniziato la vendita della benzina rubata al mercato nero.
Oro nero, mercato nero, sindacati, camionisti, cittadini, automobilisti incazzati neri.
Nero sembra essere il colore del nostro imminente bianco natale.

Nel frattempo pare che lo sciopero di questi giorni abbia causato parecchie vittime anche tra gli animali di allevamento perché non si è potuto consegnare in tempo il mangime.
Migliaia di polli sembrano essere destinati a morire di fare, insieme a mucche, conigli, maiali e a tutta la vecchia fattoria, ia ia o.
Per non parlare dei pesci non consegnati, lo sciopero dei camionisti potrebbe causare un dissesto nel mercato ittico per 40 milioni di euro. Ah, se i totani potessero parlare...
Pare anche che nei prossimi giorni, mentre il "rientro alla normalità" è ancora aldilà dal venire, i consumatori si beccheranno un rincaro speculativo del prezzo degli alimentari che potrebbe proseguire fino all'inizio delle feste.
E io pago...
E non è finita: rischiamo anche seriamente di ritrovarci sugli scaffali dei nostri amati supermercati la merce avariata, quella rimasta chiusa per giorni nei camion durante il fermo degli autotrasporti.
E io mangio...

Non so dire di chi sia la colpa, certo l’immagine dei camionisti al momento non sembra poter ambire alle posizioni più alte nelle classifiche di gradimento del pubblico.
Si potrebbe dare la colpa al solito corporativismo italico, oppure all’incapacità del governo di mediare, ma anche al tramonto dei vecchi modelli di lotta sindacale in favore di un egoismo di categoria...
Si potrebbe sì, ma non ne sono capace: quei 20/30 di voto faticosamente strappati all’odiato esame di economia politica non mi permettono grossi voli pindarici sul destino economico della società…

Ma chissà, forse adesso potrebbe essere il momento buono per un bello sciopero dei consumatori, di quelli seri.
Aspettiamo ansiosi la mobilitazione dei precari, assenti ingiustificati nell’italico panorama di scioperi (quando si inizieranno a rifiutare lavori sottopagati, stage gratuiti e affitti astronomici per un posto letto in una bettola in periferia forse allora saremo in grado di organizzarci)... ma nel frattempo possiamo mobilitare le casalinghe, che in quanto a incazzatura mi sembra non abbiano niente da invidiare a nessuno.
Donne, l’arrotino è andato via, ascoltate me!
Rifiutatevi di comprare le schifezze carissime che cercheranno di rifilarvi in questi giorni, astenetevi. Limitate i consumi. Autoproducete il più possibile i mezzi necessari al vostro sostentamento. Risparmiate soldi e rabbia.
Il pane è finito? Non mangiate briosches, fatevelo in casa.

Che succederebbe se la gente smettesse di comprare?
Ancora una volta la mia incapacità di analisi economica mi impedisce di teorizzare sugli esiti di un’ipotetica ribellione dei consumatori...
Temo quindi di dover rinunciare al mio ruolo di Savonarola delle desperate housewives…
Però posso provare a fare il pane in casa. Magari non sconvolgo gli equilibri monetari del pianeta, ma almeno mi diverto a cucinare…
Non avendo grossa esperienza nel settore forni e panificazione, prenderò una ricetta on-line.
La più fattibile mi sembra quella proposta dal sito www.vivalapappa.it (un nome, un programma).
Proviamo.

PAGNOTTA IO SONO UN AUTARCHICO
1 chilo di farina 00
200 cc di acqua calda
250 cc di latte caldo
2 cubetti di lievito di birra
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaio di sale
2 tuorli (facoltativi)

“Unire in una bacinella l’acqua e il latte tiepidi, sbriciolarvi il lievito, unire lo zucchero.Incorporare la farina a poco a poco impastando. Unire le uova e continuare a versare la farina. Verso la fine aggiungere il sale. Dovete ottenere un impasto morbido e liscio. Formare una palla e lasciarla lievitare sotto un telo pulito per circa 20 minuti. Impastare nuovamente per poco tempo e lasciare lievitare per altri 20 minuti. Stendere la pasta aiutandovi delicatamente con il matterello, quindi formare i panetti (potete tagliarli usando il bordo di un bicchiere). Sistemare i panetti sulla teglia del forno unta o ricoperta di carta da forno e lasciarli lievitare per altri 20 minuti. Quando i panetti saranno ben lievitati, potere incidervi la superficie con un coltello per formare una croce e spennellarli con del latte tiepido.Infornate per 20/30 minuti circa a forno caldissimo (oltre 200 gradi).”
Questo dunque il procedimento illustrato dai cari amici di vivalapappa per autoprodursi la pagnotta.
Forse è un po’ meno semplice di quanto non pensassi...

Buona fortuna, io corro al supermercato prima che chiuda. Magari oggi sono tornati i filoncini integrali…

"Soltanto chi non ha bisogno né di comandare né di ubbidire è davvero grande."
(Johann Wolfgang Goethe)

Niente playlist, oggi faccio sciopero io!

11.12.07

AlgheDepresse



"...guarda un po'
che fortuna stare qua,
in mezzo a tanta civiltà..."
(Rino Gaetano)



"Una mucillagine sociale che inclina continuamente verso il peggio".
No, non è la ricetta mal riuscita di un budino, è il ritratto dell’Italia 2007, così come descritto dal Censis, che ha appena pubblicato il suo annuale “Rapporto sullo stato sociale del paese”.
L’ultima disarmante fotografia del Bel Paese di Alghe racconta di una maggioranza "più rassegnata che incarognita".
L'italiano medio insomma non si arrabbia più, semmai constata che il peggio è già arrivato.
Tutto va come non dovrebbe: nella politica, nella crisi del mercato lavorativo, nella violenza, nella avvilita qualità dei programmi tv…
A quanto pare siamo diventati una “poltiglia di massa”, sfiduciati e senza obiettivi.
E poi: il consumatore comune è in crisi ma naviga sempre di più in internet, dove scarica file musicali, comunica con gli altri, o più spesso con se stesso, e compie con fierezza l’intera serie di moderni gesti multimediali, tutti rigorosamente di nessuna rilevanza politica o sociale. Insomma, depressi sì, ma on-line.
Nel frattempo le donne continuano a poter lavorare meno degli uomini, regalando nuovamente all’Italia un ignobile ultimo posto nella graduatoria europea del livello di attività.

C’è poco da ridere, a sentir loro.
Solo alcune dinamiche minoranze, sostiene ancora il Censis, "possono trovare la base solida da cui partire" e "sprigionare le energie necessarie per uscire dallo stallo odierno”.
Chi fa ricerca, chi studia all’estero, chi sceglie di esplorare nuovi mercati, chi sa cogliere l’apporto innovativo rappresentato dall’immigrazione, chi sceglie l’appartenenza a nuovi gruppi.
Insomma solo chi lascia la strada vecchia una volta per tutte può forse scuotere gli italiani da quell’inclinazione al peggio che rischia di trascinarli verso “l’ignominia intellettuale e un'insanabile noia".
Chi mangia patate, chi beve un bicchiere, chi solo ogni tanto, chi tutte le sere, chi mangia una volta, chi vuole l'aumento, chi cambia la barca felice e contento…Ma il cielo è ancora sempre più blu? O, travolto dalle mucillagini, vira al grigio come l’Adriatico d’estate?
C’è ancora speranza per noi ex santi, ex navigatori ed ex poeti; per noi attuali poltiglie?

In quanto donna, precaria e on-line mi sento incredibilmente trendy, in linea con tutte le statistiche, anche un po’ oltre...
Però l’idea di inserirmi nella vischiosa schiera delle alghe depresse, tra i “più rassegnati che incarogniti”, mi fa paura. Troppa paura per potermi rassegnare.
Io non mi rassegno. Io continuo a credere che un futuro migliore è ancora possibile, che la speranza è sempre nel cambiamento e nella capacità di attraversare la crisi per uscirne più forti di prima.
Non voglio essere un alga.
Le alghe al massimo le posso mangiare. Prendendo un’alga nori, unendoci un po’ di cous cous, ottenendo una buona cosa strana e ballando Jack Johnson: Who's to say what's impossibile? Well they forgot this world keeps spinning… "Chi può dire cosa è impossibile? Hanno dimenticato che questo mondo continua a girare".
Il mondo gira, e stavolta non voglio ancora scendere…

Ah, questa dinamica minoranza mi sta simpatica. Se la trovate presentatemela, voglio diventare loro amica, sono pronta a “sprigionare le energie necessarie”!
Mi accetteranno nel club?
COUS COUSÌ È (SE VI PARE)
Foglio di alga nori
Couscous
Radice di zenzero fresca
Salmone affumicato
Cetriolo (opzionale ma se c’è è meglio)
Avocado (come per il cetriolo)



Dunque, il procedimento è un po’ complicato, tanto vale dirlo subito. Il risultato che dovrete ottenere è visivamente lo stesso dei rotolini di sushi con l’alga intorno, anche detto “maki sushi”.
Qui però usiamo cous cous al posto del riso e il pesce affumicato invece di quello crudo, che con tutta la mucillagine che gira c’è poco da stare tranquilli…
Le dosi neanche le metto, è inutile. Diciamo che con 1 tazza di cous cous ottenete circa 4 rotolini, da riempire con più o meno salmone a seconda dei gusti e delle quantità a disposizione. Ma vi tocca verificare di persona, noi alghe tendiamo ad avere poche certezze.
Allora, faccio bollire il cous cous come al solito (cfr. lo Sformato di Cous Cous al Pesto di PrecarioMaFacile) e poi aspetto che si raffreddi. Dopodiché stendo l’alga nori su un foglio di carta oleata (o, se volete fare gli splendidi, sull’apposita stuoia di bambù usata per arrotolare il sushi) e ci allungo sopra il cous cous, lasciando un po’ di spazio libero sui bordi. Poi cospargo il cous cous di radice di zenzero grattugiata, salmone affumicato (meglio se a fette molto sottili), ed eventuali avocado e/o cetriolo tagliati a bastoncini molto fini.
Fino a qui tutto bene, adesso arriva la parte zen. Concentratevi. Allora, arrotolo il tutto su se stesso aiutandomi con il foglio di carta oleata che è sotto l’alga nori. Devo ottenere un lungo rotolone nero, che terrò unito inumidendo un po’ la parte di alga nori che avevo lasciato vuota. Poi mi munisco di un coltello molto affilato, incido in verticale e dal rotolone algoso ricavo 3 o 4 rotolini più piccoli. E dovrei aver finito.
Servo accompagnando i maki con salsa di soya.
Fatto? Se ci siete riusciti siete pronti a tutto, anche ad entrare nel club delle minoranze dinamiche…
E che il cambiamento sia con voi!

"Non accetterei mai di far parte di un club che comprenda tra i suoi soci uno come me"
(Groucho Marx)

Playlist poltigliosa
Paolo Rossi (testo di Rino Gaetano) - In Italia si sta male (si sta bene anzichè no) Rino Gaetano - Il cielo è sempre più blu Jack Johnson - Upside down 

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7.12.07

SaldiDiFineAnno 





Gli affari? Semplicissimo, sono i soldi degli altri
(Alexandre Dumas figlio)






I colloqui di lavoro rappresentano una delle attività più frequenti nella pittoresca esistenza di una temporaneamente inoccupata, croce e delizia nella nostra ballerina via crucis verso il lavoro perduto.
La sottoscritta può vantarsi di aver sostenuto nella sua esistenza un ragguardevole numero di colloqui, di tutti i tipi.
I precari lo sanno, c'è poco da fare, c'è solo da mettersi in pari col cuore…
I precari veri oramai i colloqui di lavoro li sanno fare, e anche bene, hanno anni di pratica alle spalle, letture di migliaia di guide su “come affrontare un’intervista di lavoro”, studi approfonditi sul linguaggio del corpo, sulla comunicazione assertiva, sulla motivazione e sulle tecniche di “seduzione” orientate alla vendita, di se stessi.
Io oramai mi vendo benino, sono in promozione da un po’ e offro pacchetti scontati di diverso tipo.
Sono un vero affare, un must have delle società di selezione, mai più senza amici.
Tutto sta a trovare chi ti si compra. E, soprattutto, trovare a chi veramente vuoi venderti…

I colloqui sono uno dei passatempi più utili per la categoria dei venditori di se stessi, aiutano a mantenersi in allenamento e, se presi con un po’ di necessario sense of humor, possono risultare anche divertenti.
Mi riprometto un giorno di compilare uno stupidario di tutte le frasi assurde che ho sentito dire dai mirabolanti datori di lavoro durante i colloqui, sarebbe interessante.
La rete pullula di elenchi di fesserie pronunciate dai candidati, ma pochi riportano le balordaggini che alcuni ti dicono quando ti propongono un lavoro, tentando di convincerti che ti stanno proprio facendo un favore a scegliere te. Troppa grazia mia datore, non merito tanto.
Tra incontri conoscitivi, colloqui di gruppo, interviste motivazionali e tutto quanto fa: “stiamo cercando proprio te!” oramai ho materiale sufficiente per un trattatelo filosofico. Lo farò, promesso. A breve sui vostri schermi!

Per il momento rifletto sul mercato di noi stessi, su questo arabeggiante suq dove vaghiamo, anime lavorative in compravendita, destreggiandoci tra venditori truffaldini, offerte nascoste e occasione insperate.
Bisogna mercanteggiare, imparando dai venditori di spezie: mai accettare il primo prezzo, mai avviare una trattativa se non si è realmente interessati e mai, soprattutto, offrire un prezzo troppo basso… Il venditore si offende, e interrompe subito la trattativa.
Il senso del suq è che venditore e acquirente devono chiudere entrambi soddisfatti, e chi compra deve avere rispetto per chi è lì per vendere, non per perdere tempo.
Quando la mercanzia in vendita siete voi, e la vostra professionalità, è utile ricordare queste regole, e chiudere la contrattazione se chi compra non rispetta simili principi etici e commerciali.
Siete in commercio, non in svendita, non vi fate offendere da chi cerca l’affare a tutti i costi.
Se vogliono un professionista lo devono pagare un prezzo giusto, non pretendere di avere una Ferrari retribuendola come una Fiat Ritmo da rottamare.

Poi certo, i venditori devono saper lusingare il potenziale acquirente: impariamo un po’ di flessibilità, a volte si fanno più affari guadagnando di meno…
Tell me that you want the kind of things that money just can't buy, come sostenevano quei quattro ragazzi a Liverpool, non tutto ha un prezzo…

E dopo tanta filosofia sull’economia di scambio, non ci rimane che prepararci un bel tè alla menta, alla maniera marocchina, canterellando sottovoce mi vendo, un’altra identità, ti do quello che il mondo distratto non ti da

TE (O ME) NEL DESERTO
tè verde
foglie di menta
zucchero

Semplice e dolce, come la vita. Speriamo!
Metto il tè nella teiera, ci verso sopra l’acqua bollente e rigiro velocemente per qualche secondo. Poi elimino quest’acqua (occhio a non far cadere le foglie di tè, devono rimanere nella teiera), aggiungo la menta e lo zucchero, in abbondanza, e verso altra acqua, ugualmente bollente. Lascio in infusione più o meno 5 minuti, dipende da quanto lo si vuole forte.
Verso in bicchieri di vetro, tenendo la teiera bene in alto. Per sentirmi proprio in mezzo alle dune del deserto aggiungo nei bicchieri una manciata di pinoli tostati.

E ora sono pronta, si torna al mercato.

Si scosti la cortina
e si mostrino a questo degno principe
i vari cofanetti.
(...)
Il primo, d'oro, reca questa scritta:
"Chi sceglie me avrà ciò che molti agognano".
Il secondo, d'argento, ha questo avviso:
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
Il terzo, tutto di pesante piombo,
porta a sua volta questa secca scritta:
"Chi sceglie me sarà obbligato a dare
ed arrischiare tutto quel che ha".
Come fare per sceglier quello giusto?
(Shakespeare – Il Mercante di Venezia)

Playlist in vendita
Ligabue - Le donne lo sanno
The Beatles - Can't buy me love
Renato Zero - Mi vendo


1.12.07

SimmeItalianiPaisà 


Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.
(Charles Darwin)

Da quando al mondo esiste Ryanair, i precari possono scorrazzare per l’Europa ad un prezzo equivalente a quello di un biglietto per Tivoli con la corriera, liberi finalmente di seminare il precario-pensiero per le strade del pianeta.
Lo scorso fine settimana ero quindi ryanairisticamente in Francia, a fare scorta di preziose riflessioni gastro-sociologiche e a cercare di rieducare i riottosi francesi, che si ostinano, non senza qualche ragione, a considerarci i pittoreschi e stravaganti cugini poveri d’oltralpe..
Non c’è niente da fare, per loro saremo sempre un mix rocambolesco fra Totò e Carlo Verdone prima maniera. Divertenti, rumorosi, marpioni e, irrimediabilmente, incivili…
Con i francesi che ho incontrato nel mio breve soggiorno ho fatto un piccolo sondaggio su come vedono loro gli italiani, con risultati disastrosi.
Una ragazza francese mi raccontava inorridita che a Torino guidano come invasati, clacksonando quelli che, come lei, si fermavano al rosso… (A Torino?!? Le ho fatto compitamente notare che quella è praticamente la Svizzera d’Italia. Magari può esserci qualcuno più indisciplinato ma per il resto è una città nota per il rigore nordico dei suoi abitanti… Era ancora più stralunata.)
Per non parlare di quanti avevano osato spingersi fino a Roma o Napoli: tutto un fiorire di testimonianze su macchine in quadrupla fila, gente che urla in mezzo alla strada e caos ingestibile.
Praticamente i racconti degli italiani tornati da Bombay: per i francesi siamo come l’India, rassegniamoci.
E poi aneddoti a non finire su questi fantomatici latin lover italici: quelli che ti fissano con i loro occhi neri, profondi e seducenti, quelli che ti fischiano per strada, quelli che ti fanno avances esplicite ed imbarazzanti. Quelli che, a quanto pare, fanno anche parecchio effetto sull’animo civettuolo delle galliche cugine.
In conclusione: rumorosi e maleducati ma alla fine tres, tres charmant…
Il nostro stereotipo all’estero insomma non sembra essere andato granché oltre dagli anni 60: gli uomini italiani sono visti ancora come l’adorabile canaglia Bruno Cortona, l'affascinante personaggio interpretato da Gassman ne “Il sorpasso”…
Ho provato a dire che in verità le statistiche in Italia parlano di uomini confusi e spaventati, che non si sognano neanche di provare a rimorchiarti, anche perché nel frattempo le italiane hanno smesso i panni da dolce e formosa Anna Magnani, si sono tolte il fazzoletto nero dalla testa e hanno cominciato a lavorare, diventando molto più magre ma anche parecchio più stressate.
Ho raccontato che molti dei nostri presunti seduttori italici oramai preferiscono rilassarsi giocando alla playstation o comprando creme antirughe piuttosto che tentare un approccio con una erinni metropolitana che, prima di prenderlo a male parole, probabilmente lo ammorberebbe con un soliloquio di tre ore sui suoi problemi al lavoro ed il suo desiderio di leadership.
Desideri legittimi, per carità, ma quanta rabbia.

Insomma, cari francesi, mettetevelo in testa: Gassman è morto, Anna Magnani pure, e neanche io mi sento troppo bene…
Non li ho convinti, temo.
Io però nel frattempo ho cominciato a domandarmi se davvero valeva la pena rinunciare ai nostri affascinanti ed inaffidabili Bruno Cortona per ritrovarci alle prese con le ciclotimie dei vari Silvio Muccino...
E le donne?
Sono lontani i tempo della possente dolcezza della popolana Pina di Roma Città Aperta.
Giovani aspiranti al ruolo di psicotiche Margherite Buy, rincorriamo con ostinazione un’affermazione sociale e lavorativa ancora parecchio aldilà dal venire ma la cui ricerca ci allontana inesorabilmente dalle nostre tenerezze.
Sarà il prezzo del progresso, credo…

Pane, amore e fantasia? Assolutamente no, aggiornatevi.
Tramezzino dietetico, ti voglio bene ma non so se ti amo e inconsapevolezza. Questo il film della nostra Italia 2007, fatelo capire ai francesi.
Non mi chiedere, non ci voglio pensare. Non lo so e non lo voglio sapere. “Io non ti conosco, io non so chi sei”, ma sai qual è la novità? Non lo voglio neanche sapere chi sei, ho già troppi problemi a cercare di capire tutto sommato chi sono io.
Ebbene sì, mes amis, questo è quello che si mormorano i focosi e le focose italiane nelle caldi notti di chist'è 'o paese d'o sole, tra un vorrei ma non posso e che paura mi fa.
Gli italiani e le italiane sono morti, di paura.
Nei secoli di assoggettamento della nostra italica storia eravamo forse troppo impegnati a cercare di sopravvivere al tiranno straniero per fare auto analisi.
Ora che siamo finalmente soli, con la nostra pazzoide classe politica, ci ritroviamo a doverci riconoscere. E forse non sappiamo ancora farlo.
Chi siamo, dove andiamo, un fiorino, direi.
Diamoci allora sto benedetto fiorino e scambiamoci un segno di pace, abbiamo ancora un grande avvenire, forse.
Facciamo ancora in tempo a riconoscerci, a darci una seconda chance, a far capire al resto del mondo che oltre alla pummarola n’coppa c’è qualcosa che palpita in questo nostro natio borgo selvaggio.
Domani può ancora essere un giorno migliore, forse…

Per oggi accontentiamoci di essere i vincitori della coppa del mondo 2006 (i francesi non lo hanno ANCORA digerito, ve lo assicuro) e soprattutto i campioni della pummarola, i padroni indiscussi del pomodoro.
Regaliamoci una bruschetta, come ai bei vecchi tempi.
Accompagniamola al vero inno d’Italia: “e volavo, volavo felice più in alto del sole ed ancora più su, mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù, una musica dolce suonava soltanto per me”…

Questo è forse il senso, magari si stava meglio quando si stava peggio, ma che ci frega… facciamo sparire il mondo per qualche momento, voliamo in alto e scordammuce u passato, e chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato… O no?!?
Ora se permettete vado a scordarmi anche io il mio passato, tra le vie di Trastevere, nella movida de Noantri…
"Casetta de Trastevere", cantava la Ferri, "tutti li sogni caschino, mattone pe' mattone, e 'n mezzo ar polverone, già non te vedo più".

E domani che si fa?
Al domani ci aveva già pensato il vecchio Bonaparte, i francesi pensano sempre a tutto…
La fortuna è una donna; se voi la lasciate sfuggire oggi non crediate di ritrovarla domani.
(Napoleone Bonaparte)


Ma confortiamoci: "chist'e' 'o paese addo' tutt' 'e parole so' doce o so'amare. So' sempre parole d'ammore"...

BRUSCHETTA AL POMODORO
Pane
Aglio
Olio
Sale
Pomodoro
Origano/Basilico (dipende)

Niente ricetta, se non sapete fare una bruschetta al pomodoro decente tanto vale prendere il primo Ryanair che passa e trasferirvi all’estero.
Ma so che la sapete fare, e vi consiglio di farla.
Non impegna, non ha pretese, non chiede nulla.
Offritela agli avari di sentimenti, a chi non ha tempo, fategli capire che basta poco, pochissimo.
Ha tutto quello che basta per essere felici.
E siatelo, vi prego.

Playlist paisana
Mina- Insieme
Vincenzo d'Annibale - 'O paese d'o sole
Aurelio Fierro + Giorgio Gaber - 'A pizza
Domenico Modugno - Volare
Fiorelli + Valente - Simmo 'e Napule paisá
Gabriella Ferri – Casetta de Trastevere